Che la festa cominci, il mio primo romanzo di Ammaniti, è una feroce satira dell'Italia contemporanea: due vicende, due mondi paralleli e speculari che finiscono per convergere, scontrarsi, fondersi. Da un lato, la provincia annoiata e grottesca, dove Saverio Moneta detto Mantos, commesso di un mobilificio dal nome altisonante [Mastri d'Ascia Tirolesi] cerca una sublimazione alle proprie frustrazioni esistenziali - lavorative e coniugali - nel satanismo, con risultati a dir poco tragicomici [spassosissima la caratterizzazione delle Belve di Abaddon]. Dall'altro, il mondo dei vip dello spettacolo, dello sport e della politica a cui Fabrizio Ciba, giovane scrittore vanesio, egocentrico e presenzialista, guarda non con il distacco critico dell'intellettuale scomodo che crede di essere, bensì con l'entusiastica partecipazione di chi vi si trova perfettamente a suo agio [conduce un programma in tv, sfoga la propria frustrazione creativa in facili conquiste sessuali].
La megafesta che un palazzinaro organizzerà nel cuore di Roma, a Villa Ada, fornirà il pretesto a questi mondi di incontrarsi, sfiorarsi, mettersi alla prova, e collassare. Si ride, ma con amarezza.